Il diario di una separazione. Quando la fotografia è anche terapia.
Mi sono fotografato perché avevo bisogno di ‘vedere’ quello che stavo vivendo.
Mi sono fotografato perché sentivo l’urgenza di raccontare la mia storia.
Non solo sconforto e solitudine; anche l’amore per i miei ragazzi e la voglia di andare oltre.
Le difficoltà vanno affrontate; la sofferenza fa crescere e si supera.
Dovremmo insegnare questo ai nostri figli.
Il racconto “Marco Goisis” è stato esposto a:
– Colorno (PR), novembre 2015, in occasione della sesta edizione del Colorno Photo Life
– La Spezia, Centro Culturale Dialma Ruggiero, 21 ottobre – 12 novembre 2016
– Treviglio (BG), SpazioMenoUno, 03 febbraio – 18 febbraio 2018
– Luzzana (BG), Chiesa sconsacrata di San Bernardino, 21-22 e 23 settembre 2018
– Iseo, Casa Panella – 29 settembre – 25 ottobre 2019
AI FIGLI. CI SONO COSE DA DIRE
testo della scrittrice Cinzia Pennati
Ci sono cose da dire ai nostri figli. Come ad esempio che il fallimento é una grande possibilità.
Si ricade e ci si rialza. Da questo s’impara. Non da altro.
Dovremmo dire ai figli maschi che se piangono, non sono femminucce. Alle femmine che possono giocare alla lotta o fare le boccacce senza essere dei maschiacci.
Dovremmo dire che la noia è tempo buono per sè. Che esistono pensieri spaventosi, e di non preoccuparsi.
Dovremmo dire che si può morire, ma che esiste la magia.
Ai nostri figli dovremmo dire che il giorno del matrimonio non è il più bello della vita. Che ci sono giorni sì, e giorni no. E hanno tutti lo stesso valore.
Che bisogna saper stare, e basta. E che il dolore si supera.
Ai nostri figli maschi dovremmo dire che non sono Principi Azzurri e non devono salvare nessuno. Alle femmine che nessuno le salva, se non loro stesse. Altrimenti le donne continueranno a morire e gli uomini ad uccidere.
Ai nostri figli dovremmo dire che c’è tempo fino a quando non finisce, e ce ne accorgiamo sempre troppo tardi.
Dovremmo dire che non ci sono nè vinti nè sconfitti, e la vita non è una lotta.
Dovremmo dire che la cattiveria esiste ed è dentro ognuno di noi. Dobbiamo conoscerla per gestirla.
Dovremmo dire ai figli che non sempre un padre e una madre sono un porto sicuro. Alcuni fari non riescono a fare luce.
Che senza gli altri non siamo niente. Proprio niente.
Che possono stare male. La sofferenza ci spinge in avanti. E prima o poi passa.
Dovremmo dire ai nostri figli che possono non avere successo e vivere felici lo stesso. Anzi, forse, lo saranno di più.
Che non importa se i desideri non si realizzano, ma l’importante è desiderare. Fino alla fine.
Bisogna dir loro che se nella vita non si sposeranno o non faranno figli, possono essere felici lo stesso.
Che il mondo ha bisogno del loro impegno per diventare un luogo bello in cui sostare.
Che la povertà esiste e dobbiamo farcene carico.
Che possono essere quello che vogliono. Ma non a tutti i costi.
Che esiste il perdono. E si può cedere ogni tanto, per procedere insieme.
Ai figli dovremmo dire che possono andare lontano. Molto lontano. Dove non li vediamo più.
E che noi saremo qui. Quando vogliono tornare.
Cinzia Pennati
Recensione di Silvano Bicocchi
da AgoràDiCult
“Marco Goisis”, di Marco Goisis, è un’opera animata da un’idea narrativa tematica con intento introspettivo.
Mi colpisce il dispositivo di senso generato dalle immagini dell’autore e dalle parole di Giovanni Mereghetti.
Mi rendo conto come in questo caso, un linguaggio sia complementare all’altro. Mi rendo conto quanto il complesso di sentimenti mostrati e detti da due individualità prendano un’energia tale da riuscire, se non a rappresentare, almeno svelare il vissuto di una generazione intera.
Se le fotografie mostrano il vuoto di una vita che non vede orizzonti, le parole svelano i sentimenti magmatici che animano l’uomo che abita questo vuoto.
Come sempre è l’espressione artistica dell’individuo sensibile che apre la riflessione sulla condizione collettiva; ciò avviene quando il segno artistico è prodotto dall’urgenza espressiva di una sincera e, in questo caso sofferta, necessità interiore.
Come sempre l’appartenenza a una generazione si misura nella condivisione dei sentimenti e della condizione umana; fatalmente solo quest’appartenenza consente di comprendere e riuscire a dare un contributo all’elaborazione di questa peculiare realtà, appunto generazionale.
Complimenti a Marco Goisis per offrire con la sua opera una splendida e rara possibilità per condividere disagi e fragilità, imposti dal misterioso percorso di crescita umana tipico della sua generazione.
Silvano Bicocchi
Critico fotografico Direttore Dipartimento Cultura FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche)
maggio 2016
Recensione del fotografo Stefano Landi
La Spezia, 2016
Le immagini della mostra “Marco Goisis” sono un pugno che va diretto al bersaglio.
Non raccontano cercando di nascondere, non cercano di suscitare pietà o commiserazione nell’osservatore.
Spesso la fotografia introspettiva usa artifizi come immagini poco definite, mossi in atmosfere cupe che inducono un senso di disorientamento e, allo stesso tempo, permettono di entrare in una dimensione onirica in cui ognuno ritrova paure ed angosce proprie.
Queste fotografie no: sono istantanee che ti “sbattono in faccia“ la tensione di un complicato periodo di vita dell’autore mostrando lui stesso al centro della vicenda.
Lo fanno senza filtri, sottolineando le difficoltà di un uomo che si trova catapultato in una situazione più grande di lui, una realtà figlia dei nostri tempi condivisa da tanti ma percepita solamente quando, da condizione collettiva, diventa dramma personale.
Solo a quel punto l’uomo è costretto a fermarsi per riflettere, prendendo atto di quanto gli sta accadendo; solo a quel punto l’artista reagisce sintetizzando paure ed emozioni di tanti con le proprie ansie ed i propri timori, elaborando artisticamente ciò che la sua sensibilità genera in lui.
Ecco allora le crude immagini che Marco propone in questo interessante lavoro: tredici fotografie che colpiscono per la loro precisione compositiva, per l’accuratezza stilistica, per il senso di solitudine che inducono, per quella sequenza che, uno ad uno, scandisce i problemi che l’autore stesso si trova ad affrontare quotidianamente.
E quando tutto ormai sembra indirizzato verso una solitaria conclusione ecco l’ultima immagine, volutamente mossa, dove si riaccende la speranza di una vita di coppia: ancora una volta l’uomo reagisce alla vicenda umana che lo coinvolge e torna ad intravedere un futuro sereno.
Per farlo ha dovuto però chiudere gli occhi, estraniarsi da sè e guardarsi dal di fuori come un regista osserva l’attore sulla scena.
“Occhi chiusi. Per ritrovare la forza. Ricominciare. La Sfida. E non solamente. Con gli altri. Con se stessi.” recitano le belle parole della poesia di Giovanni Mereghetti che accompagnano le fotografie di questa mostra.
Complimenti quindi all’autore per la lucidità ed il coraggio con cui ha affrontato in modo diretto un argomento così delicato dandoci la possibilità di condividere, attraverso le belle immagini proposte, una realtà che solo chi ha vissuto sulla propria pelle riesce a percepire in tutta la sua drammaticità.
Stefano Landi